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martedì 10 febbraio 2015

Vietnam. La città porpora proibita.

Dopo uno dei più belli e vari evolversi di spettacolari panorami e colori di tutto il viaggio è finalmente ora di riposare un'altra volta il culo. E non in un posto a caso ma ad Huè. La oggi frizzante città, un tempo grande capitale imperiale dell'impero Vietnammita. Qui dai primi anni dell'800 si sono avvicendati imperatori, inizialmente potenti poi più accondiscendenti verso gli interessi francesi.

Arrivati ci accolgono le mura colorate a festa per la notte della cittadella, che racchiude il cuore della città.
Trovata una sistemazione a Budget: una confortevolissima doppia al 4 piano di una rampa di scale, ma con bagno, io e Bart ci lanciamo a moto dezavorrate alla ricerca, finalmente, di cibo.


Gironzolando a caso tra le strade del centro, sfrecciando dentro e fuori le mura ci ritroviamo in una strada meno turistica delle precedenti, ma comunque abbastanza viva.

Bart, affamato, vede con la coda dell'occhio un bar-ristorante munito di tv con partita e discretamente pieno e si ferma.
Parcheggiate le nostre carrette da strada ci affacciamo all'interno. È una specie di portico , non ci sono porte e pareti all'ingresso. Ci rendiamo conto che all'interno c'è un tavolo con 4-5 ragazzi e per in resto in realtà è tutta una lunga tavolata di studenti che festeggiano qualcosa.

Non facciamo in tempo ad andare a chiedere il menu, che siamo già parte di quella tavolata con un bicchiere di birra colmo in mano. Sarà il primo di una serie di 6-7 bicchieri di birra durante la serata, da bere esclusivamente alla goccia.


Scopriamo che è la loro festa di fine primo anno universitario. Non riusciamo invece a capire che cosa studiano.


I ragazzi condividono con noi, oltre alla birra, tutto quello che arriva sul tavolo. Io chiedo a una ragazza di ordinare qualcosa di tipico per me, visto che il menù è in vietnammita.

Mi arrivano delle rane.


Un passo avanti rispetto al cane.. Però proprio perchè arrivo dalla terribile esperienza del cane di 2 sera fa non ne sono proprio entusiasta. Ma viva il Vietnam!



È mattina. 
Rientriamo per la prima volta sotto questa nuova luce, quella del sole, nella cittadella.
 Andiamo verso il compound imperiale.



Ci accolgono due stagni rettangolari con dentro i pesci rossi più grossi mai visti. Bart è tentato di tornare in albergo a prendere la canna da pesca..

Quella che viene chiamata semplificando Città Proibita è un grande complesso che nel periodo imperiale ospitava gli imperatori. Ricorda un po' la celebre e omonima città nel cuore di Pechino.
Con un susseguirsi di strutture quasi ad effetto labirinto specchiato. Le vie ospitano troni, templi e strutture private. 


Ma se a Pechino è perfettamente in piedi lustro e probabilmente in parte nuovo. Qui sopratutto dopo la guerra degli anni 60' e i bombardamenti americani, è rimasto ben poco.


Ma a sorpresa devo dire che lo promuovo è mi è piaciuta più questa città proibita qui che quella di Pechino.




"La città proibita" vera e propria, detta anche città porpora, è in realtà solo la parte più interna. A cui aveva accesso solo l'Imperatore le concubine e degli inservienti speciali. Qualcosa di simile, come idea, ai grandi arem di Istanbul. 










E stato affascinante iniziare il viaggio in questa "città" dall'ingresso, pieno di turisti, che aveva tutto tranne il proibito tra le sue corde. E poi piano piano tra le mura interne labirintiche, scoprirne seguendo la propria sensibilità e intuito, gli angoli più intimi. 
Come ho già detto, somma ci è piaciuta.


Il viaggio può continuare.
 Montiamo sulle moto e con il gesto ormai diventato automatico del piede facciamo iniziamo a far lavorare i cavalli del motore.

Ma prima di allontanarci totalmente da questa antica capitale ci fermiamo a visitare la pagoda piú antica e grande della zona.



È anche lei, come la città proibita, sul lungo fiume Song Huong e è circondata da un parco che fa parte di un complesso monasteriale. Ci sono quindi i monaci.


Eccoli qui che sprigionano una elegante e colorata saggezza e equilibrio solo a guardarli mentre coordinano e controllano la nuova piastrellatura di un'area del monastero.


Attrae la nostra attenzione gironzolando per il parco del monastero, una macchina americana anni 50'.

Cosa ci fa qui??
Dopo avermi bombardato la città proibita cosa hanno combinato gli americani questa volta??


Leggiamo. 
Invece sta volta non centrano i domini, condizionamenti e imposizioni americane. O almeno centrano, ma in questo caso per libera scelta.

La storia dice che un monaco sotto dominio comunista è andato a recuperare questa macchina, tipico simbolo del benessere capitalista, e ha viaggiato da Ho Chi Min fino a qui. Per poi arrivare nel centro della città scendere dalla macchina 
e bruciarsi vivo come forte segno di protesta in nome della libertà.

La macchina, risparmiata al rogo che non le apparteneva, probabilmente ha vinto con questo gesto la "vita eterna", o almeno fino al prossimo bombardamento..



Ci regaliamo un ultimo sguardo al Song Huong dal terrazzamento del monastero e ammiriamo le belle barche in legno decorate a drago passare. 




















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